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Bertoni, Giulio. I trovatori minori di Genova . Dresden: Gesellschaft für Romanische Literatur, 1903

GESELLSCHAFT FÜR ROMANISCHE LITERATUR

BAND 3

 

I TROVATORI MINORI

DI GENOVA

 

INTRODUZIONE, TESTO, NOTE E GLOSSARIO

PER IL

DR. GIULIO BERTONI

 

DRESDEN 1903

GEDRUCKT FÜR GESELLSCHAFT FÜR ROMANISCHE LITERATUR

VERTRETER FÜR DEN BUCHHANDEL:

MAX NIEMEYER, HALLE a. S

 

AL

PROFESSOR RODOLFO RENIER

OMAGGIO DI

REVERENTE GRATITUDINE

 

Prefazione

Presento finalmente agli studiosi questo mio lavoro sui Trovatori minori di Genova, del quale ho già pubblicato un largo saggio, alcuni anni sono, nel Giorn. storico della letterat. ital., XXXVI, 1 sgg. Mi proposi allora di dar fuori le parecchie liriche inedite, dovute ai trovatori genovesi, che si leggono nel cod. provenzale Campori di recente scoperto e procurai di illustrarle, come potevo, così per il rispetto storico come per quello letterario e filologico. Alla mia pubblicazione non mancò per fortuna l'approvazione dei benevoli, e io ebbi la sodisfazione di ricevere da illustri maestri delle discipline filologiche non poche proposte degne di molta considerazione. A quelle, già da me date in luce, comunicatemi in via privata dal prof. C. Chabaneau (Giorn. stor., cit., XXXVI, 459) vennero ad aggiungersi in progresso di tempo altre ancore dovute al prof. Mussafia e al prof. E. Levy.

Nuovi emendamenti ai mici testi furono poi proposti per le stampe da A. Jeanroy negli Ann. du Midi, da O. Schultz-Gora (Zeitschrift f. rom. Phil, XXV, 121), e da C. de Lollis negli Studi di filol. romanza.

Ora pubblico non soltanto i testi inediti presentati dal codice Campori, ma anche tutto il rimanente bagaglio poetico dei trovatori minori di Genova. Mi è anche lecito parlarne storicamente con maggior competenza, mercé qualche indagine che ebbe per me la cortesia di praticare nell'Archivio di Stato in Genova il eh. mo Signor Dr. A. Ferretto, che si riserva di dare in luce tra poco un suo lavoro di carattere storico sui trovatori genovesi. In attesa dello studio promesso, potrà forse bastare la mia magra introduzione.

Modena, Novembre 1903.

G. B.


Introduzione
I trovatori minori di Genova

I. Percivalle Doria
II. Giacomo Grillo – III. Luca Grimaldi – IV. Scotto
V. Simon Doria
VI. Luchetto Gattilusio
VII. Calega Panzano
VIII Rubaldo Rubaldi
Note critiche
XVI-XVII. Poesie italiane di Percivalle Doria 

 

Introduzione

 I trovatori minori di Genova

Le ragioni e le cause, onde Genova ebbe ventura di dare al sec. XIII quel ragguardevole numero di poeti provenzali, che tutti sanno, risiedono in gran parte nelle speciali e favorevoli condizioni, in cui Genova veniva posta per effetto della sua situazion geografica, dei suoi possessi e dei frequenti rapporti colla Provenza.1

A mezzo il secolo XIII, svolgevasi libera e gagliarda la vita pubblica e privata dei Genovesi e la città, già esperta nelle lotte di parte, non s'abbatteva in esse, ché anzi, dotata di virtù di espansione, esercitava su tutto il lido un singolare predominio. Né alla sua potenza erasi omai sottratta la città di Savona 2, né Ventimiglia, Menton e Monaco 3 eran sfuggite all'avidità della fiorente Repubblica, cui ben anche Nizza era legata con vantaggiosi patti 4, per quanto non ne fosse rimasta punto scossa la signoria dei conti di Provenza. Con questi Genova ebbe notevoli rapporti 5, ai quali si intrecciavano le comunicazioni frequenti coi Marchesi di Monferrato, di Malaspina e del Carretto 6, le cui fiorite corti sonavano di rime e di canti trovadorici. Né vanno dimenticati gli effetti, che provenivano dal florido commercio genovese, che si diffondeva in gran parte della Francia e in ispecie si stendeva sulla costa meridionale. Aveva esso emporio e giurisdizione in Narbona; s'accentrava internamente in Montpellier e particolare stanza n'era sulla costa anche Marsiglia, donde i Genovesi dirigevano i loro negozi e la loro navigazione 7. A ciò si aggiunga che Arles, Avignone e tutte l'altre città più notevoli di Provenza s'erano via via accostate con patti ed alleanze a Genova 8; né loro conveniva punto rompere l'armonia e l'accordo con quella città potente d'arme e di ricchezze.

Tutto ciò contribuiva ad aprir adito in Genova alla poesia provenzale, la quale doveva trovar quivi luogo si conveniente al suo fiorire, che ne sorgesse un gruppo di trovatori appartenenti alle piú ricche e nobili famiglie genovesi.

Dell'opera e della vita loro rimangono per vero scarse vestigia 9; ma pur su carte e documenti sincroni vien fatto di rintracciarne alcuna volta qualche ricordo, così che se ne possano ritessere, con un modesto corredo di nuove notizie, quelle brevi biografie, che ne furon date da O. Schultz-Gora. Questo in parte è il compito del presente studio, il quale si manterrà entro i limiti imposti dal titolo e non ne uscirà che per presentare talvolta il frutto di qualche nuova ricerca.

 

I. Percivalle Doria.

Tra le biografie del Nostradamus una ve n'ha dedicata a un Percivalle Doria, che vien descritto come animato da sentimenti guelfi, ch'egli avrebbe resi manifesti in un suo componimento diretto contro Manfredi a magnificare le glorie di Carlo d'Anjou. 10

Di qui la notizia di un trovatore guelfo di tal nome passò nel Tiraboschi (IV, 370) e nello Spotorno (I, 269) e si vennero di poi distinguendo due poeti omonimi: l'uno guelfo e poeta provenzale, l'altro ghibellino e rimatore italiano, compagno fedelissimo di Manfredi. 11

Lo Schultz tuttavia si provò, or non è molto, di identificare il trovatore col poeta italiano 12; ed ora il presente scritto tronca la questione 13 e si rallegra di mostrare tutta la consistenza della ipotesi dello Schultz, per quanto un nuovo esame di date e di fatti ci abbia su alcun punto indirizzati ad altre conclusioni.

Compare la prima volta un Percivalle Doria Fanno 1216 nella serie dei Consoli di Genova (M. G. H., XVIII; 136, Lib. Jur. 1; 584 c. Giustiniani, Annali della Rep. di Genova, 1884, 1; p. 315) e ricompare il 1217 in una lite colla famiglia Richeri. Questa discordia doveva essere di non piccolo momento, a giudicare dalle parole colle quali ne discorre il cronista, e certo essa coinvolgeva tutta la casa Doria, poiché vi troviamo partecipe un parente di Percivalle, Manuele Doria 14 (M. G. H., XVIII; 138). Ma forse non qui si dovrà ricercare il nostro poeta 15; sì bene converrà scendere sino al 1228, nel qual anno Percivalle Doria veniva eletto podestà di Asti. 16 L'opera sua di ghibellino trova ampia conferma in M. G. H. XVIII, 171, ove è detto che Percivalle con l'aiuto di Enrico Del Carretto, del Marchese di Monferrato e del podestà di Genova guerreggia e vince i guelfi Alessandrini. Frattanto egli destreggiavasi abilmente coi Marchesi di Saluzzo e con atto del 4 giugno ‘28 legavasi la fede del giovine Manfredi III, il quale prometteva a sua volta il 25 nov. di soccorrere prontamente gli Astigiani.17 Appare di nuovo il 1231 come Podestà di Arles 18 e qui pure egli manifesta attività di' ghibellino: e da un atto del 14 luglio si raccoglie che l'imperatore Federico II accentrava in lui la sua potenza ghibellina in Provenza 19. Due volte ottenne Percivalle Doria la podesteria di Avignone: il 1233 20 e il 1237 21. Attendeva forse due anni dopo allo sposalizio d'una sua figlia in Genova 22 ove egli sarà rimasto sino al '41, nel qual anno compare in un moto, ch'ebbe luogo per effetto di una dichiarazione di Federico II, colla quale egli affermava il proposito di far guerra ai ribelli dell'impero 23. Il popolo, come n'ebbe annuncio, si rivolse furente contro i Ghibellini, sì che molti di questi, tra i quali «Percival e Manuel Auriae», furon di poi costretti a fuggir di Genova (M. G. H. XVIII; 194-5, 197).

Due anni dopo, il 1243 Percivalle compare podestà di Parma 24. Nel marzo del 1255 pare ch'egli si trovasse di già ai servigi di Manfredi, perché in tal mese, secondo una notizia del Torraca, venne compreso tra i famigliari e soci di Manfredi colpiti da scomunica 25.

Nell'ottobre del 1258 Percivalle Doria veniva nominato vicario generale della Marca d'Ancona, del Ducato di Spoleto e di Romagna (Huillard-Bréholles, Hist. dipl. Frid. II, VI, 135 e Schirrmacher, Die letzten Hohenst., Göttingen, 156 e 465) e una lettera circolare del re ne recava agli abitanti l'avviso 26. Il 20 ottobre egli trovavasi di già a Iesi, di dove — scrive il Gregorovius — ai 7 di marzo promulgò un privilegio per Gubbio, cui guarentí distretto e comitato. Caddero in potere del vicario le città di Fano, Fermo e Macerata; Perugia rimase guelfa; forte resistenza oppose Camerino 27. Irruppero finalmente entro le mura, dopo dura opposizione, le soldatesche ghibelline «come sciame d'api stretto dalla tempesta» — così lo Schirrmacher — e la nobile cittadina fu arsa totalmente e distrutta. Alessandro IV scriveva allora al vescovo di Ancona e ai borghesi della città di mantenere salda la loro forza e la loro fede: «nec eorum animos timor terreat, alicuius perturbatio quatiat vel perturbet»!

In servizio di Re Manfredi, Percivalle a capo di un grande esercito, che moveva contro i Guelfi, giunse nel 1264 a un fiume detto Nera di Narco e quivi affondò nel tragittarlo e si spense 28.

Percivalle Doria fu poeta provenzale e rimatore italiano 29. Fedele a Federico II, continuò a dichiararsi devoto di Manfredi e la sua morte segna l'inizio della estrema ruina della casa Sveva 30. Giovine, aiutò la fortuna imperiale in Provenza; già maturo d'anni, creato general vicario della Marca d'Ancona, non solo diresse, ma partecipò alla guerra contro i Guelfi, trovandosi alla testa, di uno sterminato esercito. Finché la forza e l'età gli permisero di superare i perigli e le peripezie della guerra, egli favorí gli Svevi coll'opera e colla penna. E il serventese, che noi pubblichiamo, è certo uno degli ultimi cauti di questo invitto ghibellino e poeta occitanico, che piace trovare in relazione con un altro cultore della lingua provenzale, Corrado da Sterleto, amico di Guittone e Dante da Maiano, ai consigli del quale devesi il «Donato Provenzale» di Uc Faidit 31.

Il componimento è scritto in lode di Manfredi 32 e fu composto dopo l'agosto del 1258, poiché Manfredi vien detto «Reis»; ma non molto tempo dopo, perché in esso non si fa menzione di trattative pontificie con Carlo D'Angiò, e un ghibellino, quale Percivalle, non avrebbe certo mancato di farne ricordo in un componimento, che discorre delle condizioni del regno di Manfredi 33.

 

II. Giacomo Grillo. — III. Luca Grimaldi.

IV. Scotto.

II. — La vita di Giacomo Grillo viene appena qua e là illuminata da uno scarso numero di notizie 34. L'Artefeuil nella sua Histoire héroique et universelle de la noblesse de Provence (Avignon, 1757, p. 524 sgg.) ha un capitolo dedicato alla famiglia «Grille» di Provenza, uno dei rami in cui si suddivise la nobile casa di Genova; ivi parlasi di un Jacques Grille, che non pare il nostro, se pur mi è stato concesso di veder giusto in mezzo a una confusa congerie di date e di fatti.

Neppure potrà essere il poeta quel Giacomo Grillo che nel 1232 fu condannato alla pena del capo 35. Questi infatti non avrebbe potuto tenzonare con Simon Doria, che visse nella seconda metà del sec. XIII; sicché convenne cercare altrove le tracce del trovatore e lo Schultz (ZRPh., VII, 220) riuscì di fatto a scovare un altro Giacomo Grillo fiorito dal 1242 al 1262. In tale anno Guglielmo Boccanegra fu invitato ad abbandonare l'ufficio suo e G. Grillo venne eletto in pubblico parlamento «reggitore della città» insieme a quattordici nobili cittadini, tra i quali figura Luca Grimaldi.

Il trovatore Giacomo Grillo è pur ricordato, insieme a sua moglie Audina, in un atto del 15 agosto 1281 36.

Del poeta null'altro si possedeva fin qui che una breve tenzone con Simon Doria ricalcata sul vecchio motivo della decadenza del pregio e delle cortesie 37; ed ora si aggiungono alcune cobbole scambiate con L. Cigala 38 (cfr. Testi, n° VI).

 

III. — Di Luca Grimaldi nessun componimento ci rimane, ma in compenso egli ha lasciato di sé più largo ricordo; talché la biografia, che di questo trovatore ebbe ad intessere lo Schultz, può oggi accrescersi delle seguenti notizie.

Da uno spoglio Strozziano, segnalato da O. Hartwig 39, si apprende, pare, che Luca Grimaldi fu figlio di Ugo; e non deve perciò essere confuso con Luchino o Luchetto Grimaldi, figlio di un Oberto, che morí il 1219 alla presa di Damietta 40. Lo Schultz raccolse del nostro poeta alcuni ragguagli che vanno dal 1242 al 1262. Ma già il 1240 egli era presente alla stipulazione della lega stretta da Milano e Genova contro Federico II.41 Il 1257 fu podestà di Firenze 42; ma per sua volontà subito abbandonò lufficio e gli successe Matteo de Correggio, cittadino parmigiano, ch'aveva ottenuta la podesteria di Piacenza il 1250. Io rilevo ancora il suo nome insieme a quelli di S. Doria e L. Gattilusio in un atto dell'8 luglio 1267, pubblicato anni sono 43. Ancora debbo aggiungere che il 16 febbraio '69 Carlo d'Angiò scriveva a Luca, Bovarello, Lanfranco e Lucherio Grimaldi, raccomandando loro di ricevere con onore in Genova gli ambasciatori del soldano di Babilonia 44. Per ultimo, nel 1271 egli spiega la sua opera guelfa come podestà di Ventimiglia 45. Luchetto Grimaldi fu imposto, quale potestà, a Ventimiglia nel 1269 46.

 

IV. — Lo Schultz (ZRPh. VII, 234) fece notare che una famiglia Scotto fioriva nel sec. XIII in Genova e congetturò che ad essa appartenesse il nostro poeta. Il Casini ricercò il trovatore provenzale in Ogerio Scotto, che si lascia seguire dal 1246 al '64 47. Altri Scotto vivevano però in Genova nel medesimo tempo 48. Qui ci limitiamo a notare che l'unico testo tramandatoci dal canz. Campori consiste in una tenzone con Bonifacio Calvo, la quale sarà stata composta dopo il 1260, ché in tale anno tornò forse il Calvo in Genova, lasciando la corte di Alfonso di Castiglia. Del periodo che precede la sua partenza per la Spagna nulla sappiamo, poiché egli non potrà essere identificato con quel «Bonefacius Calvus», ch'io trovo come teste in un atto del 2 gennaio 1216 49.

 

V. Simon Doria.

Questo Simone par sia stato stretto parente di un Perceval Doria 50. Io credo di non correre gran rischio ritenendolo fratello di quel Percivalle che trovammo ai servigi di Carlo d'Angiò e che ci provammo ad identificare col trovatore guelfo, di cui parla il Nostradamus 51. Comunque sia, egli appare la prima volta l'11 marzo 1253 e ne troviamo il nome sui documenti sino al 1316 52, nel qual anno Gioffredo parla di un «quondam Simonis Auriae».

Crede lo Schultz che la sua morte sia veramente avvenuta parecchi anni prima del 1316 e poco dopo il 1290; ma a me par di poter dire ch'egli fosse ancor vivo il 1311, poiché in tale anno «alcuni Veneziani furono giunti e spogliati dell'avere dagli uomini di una galea appartenente a Simon Doria ed Antonio Arcante, la quale portava gli ambasciatori genovesi al gran maestro dei Gerosolimitani» 53.

Una importante notizia venne trascurata dallo Schultz: Simon Doria fu nel 1266 podestà di Savona, e un documento di bella importanza, compiutosi durante la sua podesteria, leggesi presso il Canale 54. Si aggiunga ancora che l'8 luglio 1267 egli prendeva parte alla ratificazione della pace fatta dai Genovesi col maestro dei Templari, Tommaso Berardi 55, e che il 1293 veniva eletto podestà di Albenga 56.

L'opera di questo trovatore risulta di sei tenzoni: quattro delle quali egli scambiò con Lanfranco Cigala 57, una quinta con Jacme Gril (436,3) e un'ultima con un certo Albert (436,2). Tutte, all'infuori della 436,2, figurano nel ms. Campori. Diverse furono nella famiglia Cigala le persone ch'ebbero nome «Lanfranco» 58. La prima appare il 29 agosto 1158 (M. H. P., Chart. II; col. 532) e figura di nuovo come teste il 1188 in un «instrumentum» di pace tra Pisani e Genovesi 59; una seconda va identificata col poeta provenzale. Il terzo Lanfranco Cigala fu parente del trovatore e figlio di certo Ansaldo 60. A quanto ebbe a trovare lo Schultz intorno al nostro trovatore, si aggiunga ch'egli fu console per Genova in Siria il 1245 61 e fu forse fratello di Nicola Cigala, ambasciatore al papa il 1267 62. L'ultima sua notizia cade nell'anno 1278 e l'esame dei suoi componimenti ci porta a collocare il periodo della sua fioritura nel terzo ventennio del sec. XIII 63. Lanfranco Cigala ebbe per moglie una certa Safiria sorella di Lanfranco Pignattaro e morí, come ben disse il Nostradamus, assassinato nel 1278 nelle vicinanze di Monaco 64. A. L. Cigala venne attribuito un serventese, composto verso il 1272 65; ma ora il ms. Campori ci avverte che tale attribuzione è falsa e che il componimento è opera di altro trovatore, di Luchetto Gattilusio.

Lanfranco Cigala tenzonò non pure con Simon Doria e Jacme Gril, ma anche con un certo Guilhem (Testi, n° IX), che sarà Guilhem de Montanhagol, il quale potè aver conosciuto il Cigala il 1241, quando questi insieme a Lanfranco Malocello fu mandato ambasciatore a Raimondo Berengario (si cfr. la nota al testo n° IX). Il Conte di Provenza s'era un mese prima accordato a Montpellier 66 con Raimondo VII di Tolosa e incontrò l'ambasciata genovese ad Acquemorte, ove il luglio si stipulò un trattato, nel quale figurano come testi il trovatore Bertrand d'Alamannon e Romeo di Villanova 67.

Con Simon Dona scambiò a sua volta una tenzone sottilmente lasciva (436,2) un ignoto poeta «Albert», che lo Schultz vorrebbe identificare con Albertet de Sisteron 68: e per verità può indurre a simile conclusione una seducente testimonianza, fornita da un componimento stesso del poeta (15,11), nel quale vien fatta menzione di un lungo suo amore per una donna genovese. Ma ognun s'accorgerà di leggeri della debolezza di tale argomento 69. Tralasciando pur di notare che una relazione amorosa con una donna di Genova, probabilmente maritata, com'era l'uso, non implica per nulla una dimora in quella città e che il poeta accolto alle corti del Monferrato e dei Malaspina, potè quivi accendersi di qualche dama di patria genovese; e ammettendo anche, se così si vuole, un suo soggiorno in Genova, è pur sempre certo ch'egli non potè tenzonare con Simon Doria ancor vivente il 1311; poiché Albertet de Sisteron fiorì nel primo ventennio del sec. XIII 70. L'opinione dello Schultz, che lo scambio di questa tenzone abbia avuto luogo prima del 1250, in causa di un accenno a Federico II 71, i parevami non ben salda, poiché l'uso di riferirsi a principi già morti non è unico nella poesia provenzale; ma si confronti ora quanto ha scritto in proposito lo stesso Schultz nella Zeitschrift f. rom. Philol., XXV, 121. n. 1. Resta dunque questo interlocutore «Albert» un forte problema 72.

 

VI. Luchetto Gattilusio.

Carlo Hopf a pag. 502 dell'opera Chroniques Greco-Romanes, Berlino, 1873, ci dà la tavola genealogica dei Gattilusj di Lesbo e di Aeno, dalla quale apprendiamo che Luchetto dovè nascere nel secondo quarto del sec. XIII 73. I lavori dello Schultz 74 e del Belgrano 75 ci dispensano di fermarci a lungo sulla vita di questo trovatore; onde noi ci limiteremo ad alcune brevissime giunterelle 76.

Per l'ambasciata genovese a Clemente IV e Carlo d'Anjou del 1266, si cfr. Caro, Op. cit, I, 179 e nota 5. La stessa opera va consultata per gli anni: 1272 (I, 301, n° 1) e 1295 (II, 203, n° 1). Appare come teste il nostro poeta in un atto del 13 ottobre 1284, col quale raffermavansi in lega le repubbliche di Firenze, Genova e Lucca contro Pisa e prendevansi vari accordi riguardanti la Sardegna e in ispecie certe terre e fortezze di Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti di Gallura 77.

Di Luchetto Gattilusio il ms. Campori conserva due serventesi e una tenzone con Bonifacio Calvo:        

1. Cora qu'eu fos marritz ni conziros
2. D'un sirventes m'es granz volontatz preza
3. Luchetz, se·us platz mais amar finamen.

Il primo di questi componimenti è pur conservato dal ms. e e fu parecchie volte pubblicato 78; il secondo si legge a pezzi e frammenti nel cod. r, ove è attribuito a Lanfranco Cigala (Studi di fil. rom. V, p. 48); il terzo è tuttora inedito. Il primo serventese si lascia portare, secondo il Casini 79 e il Merkel 80, intorno al 1264. Lo Schirrmacher e lo Schultz proposero il 1262; il Caro osserva che non è possibile stabilire un termine esatto. Intorno alla data del secondo serventese si cfr. Rajna in Studi cit., pp. 32-36. Il Rajna non pose in dubbio l'autenticità dell'attribuzione del frammento r, che pone il componimento tra le cose del Cigala; ma si cfr. quanto scrivono lo Schultz 81 e il De Lollis 82. Per la tenzone di Luchetto e Bonifacio Calvo, vedi Pelaez nel Giorn. star., cit., XXVIII, 66, n l.

 

VII. Calega Panzano.

Recentissime ricerche nell'archivio di Stato in Genova hanno confermata una mia supposizione, ponendo ormai fuor di dubbio che quel «Calega Panza», che ci è dato dal cod. Campori come autore di un interessantissimo serventese contro Carlo d'Anjou, sia stato genovese e abbia appartenuto alla nobile famiglia dei Panzano. Occorre tuttavia tener presente che il cognome del nostro trovatore va letto: Panzá(n), in quanto rispecchia il latino Calica «Panzanus». Nell'archivio di Genova il dr. Gius. Flechia trovò, poco dopo la stampa del mio articolo Studi e ricerche sui trovatori minori di Genova 83, alcuni documenti dell'anno 1259 riguardanti il nostro Panzano e si affrettò a darne notizia nel Giorn. stor. della letterat. italiana 84. Maggiori informazioni intorno a Calica diè poi A. Ferretto, il quale riuscì a scovare una serie di atti che ci permettono di seguire il trovatore genovese dal 1248 al 1313 85. Contemporaneamente A. Jeanroy pubblicava criticamente, insieme a un copioso corredo di notizie storiche, il serventese del Panzane 86 già edito in forma diplomatica da me negli Studi di filol. Romanza 87.

Dopo queste indicazioni bibliografiche, il mio cómpito è ristretto a ben poca cosa. La famiglia genovese Panzano trae le sue origini secondo i genealogisti da Sestri-Ponente. Presto salì in Genova ai pili alti onori e Giacomo Panzano fu consigliere del Comune negli anni 1228-29-33-42 ed ebbe tre figli Antonio, Corrado e Caleca.

Caleca compare la prima volta in atti del 1248. Egli doveva essere allora poco più che diciottenne e poteva per conseguenza prender parte a pubblici atti. Esercitò il commercio, e si hanno documenti pei quali possiamo pensare che il nostro trovatore sia stato in Oriente e in Francia. Quivi potè addestrarsi nella lingua occitanica sí da comporre versi di non poco pregio. Il serventese, che pubblichiamo, fu composto senza dubbio nel 1268 o sulla fine dell'anno precedente e spira un grande ardore ghibellino ed è veemente in alcune sue parti:

 

L'aut rei Conrat qi ven per castiar
Los fals pastors e liurar a turmen
Q'an laissat Dî[eu] per aur e per argen
E qi del tort fan dreit, qils vol pagar,
Mante[n]gua Dieus, e lur gran simonia
Confend'en brieu, si qu'en la segnoria
Torne del rei los de[s]leials trafanz,
E qe vencut fassan totz sos comanz.

 

Il serventese parla della celebre spedizione di Corradino terminata colla disastrosa pugna di Tagliacozzo (23 Agosto 1268) ed è indirizzato contro Carlo d'Anjou 88. Se vogliamo poi precisare maggiormente la data di composizione, oltre che ricorrere agli argomenti molto acuti proposti dallo Jeanroy e sostenuti con ragioni, che sembrano inconfutabili, potremo osservare che il 29 Marzo 1268, quando Corradino s'imbarcò per Pisa nei pressi di Finale, magnates Janue scilicet de Spinulis de Auria de Castello et alii venerunt ad eum loquentem sibi et faciendo sibi honorem sicut decuit 89. Erano allora consiglieri del Comune Caleca e Corrado Panzane: e il primo di essi potè dettare in tale occasione il suo gagliardo serventese.

Caleca Panzano ebbe in moglie una certa Giovanna di ignoto casato che gli diede due figli: Gaspare e Giacomino. Egli alla sua volta visse per più di ottant'anni, poiché nei documenti è ricordo di lui ancora nel 1313.

 

VIII. Rubaldo Rubaldi.

Registro con alquanta incertezza il nome di questo trovatore. Certo un Rubaut visse a mezzo il sec. XIII e scrisse provenzalmente se potè tenzonare con Lanfranc Cigala (Testi, n° X). Il nome Rubaut, corrispondente a un latino Rubaldum, mi trae a pensare che si tratti di un genovese. La famiglia dei Rubaldi s'incontra di fatto assai frequentemente nelle carte genovesi. Vero è che io non ho notizia di un Rubaldo Rubaldi, ma giusta un uso, che ho notato non di rado nei documenti dei sec. XIII-XIV, credo di poterne derivare il nome foggiato sul cognome. In simili casi accadeva talvolta che non si registrasse il nome della persona.

Con maggior trepidazione segno per ultimo questo Peire. In un atto del 29 Agosto 1233 è registrato un «Peire trovadorius », il quale comprò in Genova in tale anno una certa quantità di pelliccie. Ma può sorgere il dubbio che trovadorius sia qui un cognome. L'atto è stipulato in Fossatello presso la casa di Pevere Calvo in qua habitat Marinus barberius 90.

 

NOTE

1. Questa mia monografia è limitata ai soli trovatori minori di Genova, in riguardo alla recente edizione critica di Bonifacio Calvo comparsa a cura di M. Pelaez in Giorn. stor. d. lett. ital., XXVIII e XXIX e alla promessa del prof. V. Crescini su Lanfranco Cigala. Non tocco poi di Folchetto di Marsiglia, poiché è omai assodato che sua patria fu veramente Marsiglia e non Genova (N. Zingarelli, La personalità storica di F. da M., Bologna, 1899, p. 10, n. 6), e neppur m'indugio su un altro poeta, che par si nasconda sotto il nome di «Genoes» in una tenzone con Pujol (386,1), secondo una congettura del Selbach, Das Streitgedicht in der altprov. Lyrik, Marburg, 1886, p. 72, in Stengel, Ausgaben u. Abhandlungen, ecc., LVII. Non va dimenticato che un «senher Genoes» vien pur ricordato da Arnaut de Maruelh in 30; 13, 15: ma sfortunatamente null'altro si può aggiungere in proposito.()

2. Nel 1251 Genova poneva fine alla guerra con Savona da tempo accesa e stabiliva tra l'altro che il Comune di Savona eleggesse a Podestà un cittadino genovese (Torteroli, Storia di Savona, p. 125- 6).()

3. I diritti su Ventimiglia risalivano all'agosto del 1140 (Cais di Pierlas, I conti di Ventimiglia, Torino, 1884) e i rapporti con questa città si continuarono in quel modo che si può conoscere dal Caro, Die Verfassung Genuas zur Zeit des Pod., Strassburg, 1891, pp. 156-7. Cfr. Rossi, Storia della città’ di Ventimiglia, Torino, 1859. Il 30 maggio 1191 i Genovesi avevano ottenuta in giurisdizione la riviera ligure da Portovenere a Monaco (Cais di Pierlas, Docum. inédits sur les Grimaldi, 1885, p. 14) e alla sua volta Monaco cadde tra i loro possessi il 2 luglio 1191. Più tardi questi loro diritti furon meglio convalidati da Federico II con un atto riportato da Ogerio Pane.()

4. C. di Pierlas, I conti, cit, p. 48.()

5. Il 1241, ad es, veniva mandata una ambasciata genovese a Raim. Berengario (Canale, Storia di Gen., II, 497) e il 1245 questi doveva occuparsi alla sua volta dei Genovesi e conceder loro una convenzione per la quale egli abbandonava totalmente i diritti che ancor poteva vantare su Monaco e Ventimiglia (C. di Pierlas, Op. cit., p. 132).()

6. Nella prima la tradizione cavalleresca si continuava, un po' scossa, con Bonifacio II; nella seconda alla liberalità dei signori si aggiungevano in quel torno di tempo le grazie di due sorelle: Selvaggia e Beatrice (cfr. O. Schultz, Le epist. del trov. Ramb. de Vaq., Firenze, 1896, p. 169): alle quali è indirizzata la nuova poesia di G. de la Tor (En vos ai mesa, Cod. Camp., p. 462). 

VII. Na domna Salvatia,
ies del cor volatia
non es; anz faz dir
gran ben, sens mentir,
de vos eus agenza
trastota valenza.
VIII. E na Biatris,
cui iois e preix. es guitx,
voil, sii platz, q'entenda
mon novel descort,
car senes esmenda
son valen pretz port.

I rapporti coi march, di Malaspina non si mantennero sempre calmi e sereni, come potrebbe far credere un atto del 23 ottobre 1168, col quale Opizzo Malaspina giurava fede a Genova; il 1216 le relazioni correvano già torbide e Genova riprendeva colle armi ai Malaspina il castello della Corvara (Atti della Soc. lig. di storia patria, I, 435-6).()

7. Canale, Op. cit, II, 504.()

8. Canale, Op. cit., II, 487-523. Quivi sono esposti con quella larghezza, che qui non è consentita, i fatti che ci interessano. Per i rapporti di Genova con Arles, cfr. Anibert, Mémoires hist. et crit, d'Arles, 1779-81, III, 61-65, 107-108.()

9. E queste furon diligentemente raccolte dallo Schultz, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trob., in Zeit. f. rom. Phil., t. VII, 177-235 (che citerò d'ora innanzi: ZRPh., VII). Alcun accenno ai trovatori di Genova non manca negli storici di letteratura ligure; ma il presente lavoro non ne tien conto e muove dalle ultime indagini. Tanto più che i trovatori minori sono generalmente passati sotto silenzio. Si cfr. tuttavia: Raffaele Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova, 1657; Michele Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma, 1667; Spotorno, Storia letteraria della Liguria e di Genova, Genova, 1824.()

10. J. de Nostre-Dame, Vies de plus cél. et anc. poètes prov., p. 138. Nella traduzione del Giudici (Lione, 1575) la biogr. di Perc. D. si legge a p. 131 sgg. Cfr. anche Crescimbeni, Le vite dei più celebri trovat., Roma, 1722, p. 95.()

11. Schultz, ZRPh., VII, 221-223; Torraca, La scuola poet. sicil., in N. Antologia 15 nov. e 1° dic. 1894; Zenatti, Arrigo Testa e i prim. d. lir. it., Firenze, 1896, pp. 17 e 19. E per non essere accusato di dimenticanza, citerò ancora: Desimoni, Giorn. ligust., V; Bartsch, in Jahrb. N. F., I, 127; Chabaneau, Biogr., Toulouse, 1888, p. 167, col. 2. Si pensò ancora di ascrivere ad altra patria, che non fosse Genova, il poeta italiano, e il Borgognoni aveva fantasticato un suo Percivalle d'Oria, presso Brindisi (Zenatti, Op. cit., p. 20 n.), opinione che vien d'un sol colpo recisa mediante una lettera di papa Urbano IV al cardinale Simone di Brie, nella quale il parente e socio di Manfredi vien detto di patria genovese. La lettera, di cui qui si tocca, venne addotta dal Torraca in op. cit. e si potrà leggere in Martène-Durand, Thes. Nov. Anecd., II, 82. Cfr. anche Monaci, Crest, ital. d. primi secoli, Città di Castello, 1889, I, p. 80, ove vien dato un bel mazzetto di notizie riguardanti Perc. Doria. Simone di Brie, canonico e tesoriere della chiesa di S. Martino di Tours, fu alzato alla santa sede il 22 febbraio 1281 col nome di Martino IV (Muratori, Ann., Milano, 1819, XI, p. 490). Lasciò fama di Pontefice santo, per quanto egli fosse «molto vizioso nel vizio della gola»; onde venne da Dante collocato nel sesto girone del Purg. (XXIV, 22-24) a purgar per digiuno «l'anguille di Bolsena e la vernaccia». Cfr. Scartazzini, Com Lips., II, 466.()

12. Noch einmal P. Doria, in Archiv. f. d. Stud. d. neuer. Sprachen und Lit., t. XCI, p. 250 sgg.()

13. L'unico componimento provenzale di Perceval Doria, conservatoci dal ms. Campori, palesa infatti chiaramente che il trovatore fu di spirito ghibellino.()

14. Che Manuele fosse congiunto di quel Percivalle, che fu Console nel 1216, appare dall' Oliveri, Op. e luogo citati più sotto. L'identificazione dei due Percivalle mi par dunque assai probabile e quasi certa.()

15. Confesso ch'io fui lungamente dubitoso prima di decidermi ad accettare quelle date, che compariranno attribuite nel presente studio a Percivalle Doria. Parevami che non vi fossero prove sufficienti per trarne qualche sicura conclusione, e questo difetto fu in certo modo avvertito da quanti ebbero ad occuparsi della questione; ricorsi perciò, in mancanza di prove dirette, a una serie di argomentazioni, che sottometto al giudizio dello studioso, il quale per la piena intelligenza della nota seguente dovrà tener presente l'articolo dello Schultz in Arch. cit., l. cit. Il Rajna (Romania, XII, 182) si oppose risolutamente alla identificazione del Percivalle del 1216 col poeta provenzale; riferendosi agli studi del De-Simoni (Giornale lig. cit.) e movendo perciò dalla fede in un trovatore guelfo, partigiano di Carlo d'Angiò. Lo Schultz (Arch., 254) opina a sua volta che il Percivalle del 1216 non possa essere il poeta ghibellino e cosí parve al Torraca (Op. cit.) e allo Zenatti (Op. cit., p. 19). Giova però osservare che lo Schulz, pur sempre guardingo, circonda di alcuni dubbi la sua asserzione, non escludendo la possibilità della opinione contraria. Intanto io non trovo che alcuno abbia ricordato quanto leggesi in Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen, Göttingen, 1871, p. 465. Ivi viene identificato il Percivalle, che ci interessa, col noto famigliare di Manfredi: e per vero la cronologia non pare gran fatto disturbata. Il 1216 Percivalle Doria era infatti assai giovine e le poche note cronologiche, che si raccolgono dall' Oliveri, Serie dei Consoli di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, I, 462, bastano a rendercene avvisati; ne verrebbe perciò ch'egli 1264, anno della morte del poeta, si aggirasse intorno alla settantina di pochi anni l'avesse oltrepassata. Che poi il Percivalle del 1217 altro non fosse che quel Percival Auriae del 1241, ghibellino ardente, parve tuttavia non impossibile allo Schultz (Arch., 254), pel fatto ch'egli vien nei due passi nominato insieme a un Manuel Auriae. Parrebbe adunque che un solo ed unico Percivalle si presentasse nel 1216, nel 1217 e nel 1241. Ma qui convien ricordare che nel secolo XIII vissero almeno due «Manuele Doria»; l'uno parente di un Percivalle (Oliveri, Op.cit., loc.cit.), l'altro a sua volta figlio di un Percivalle (M. H. P., X, 365), si che nulla di certo si possa asserire. E poiché difficilmente avrebbe potuto il Percivalle console nel 1216-17 trovarsi nel 64 in grado, come osservò lo Schultz, di dirigere e prendere parte attiva alla guerra di Manfredi contro le milizie papali, ci sentiamo portati a distinguere sin d'ora due Percivalli: all'uno andranno riferite le date 1215-17; all'altro converranno i fatti del 1241. Quando poi notiamo che il 1262 appare in Genova (M. H. P., X, 310) un «Percival major» insieme a Nicola Doria del fu Manuele, noi ci sentiam tratti a riconoscere in esso il Percivalle del 1216-17, poiché nel '62 il nostro poeta trovavasi al Sud-Italia (ZRPh., VII, 222). Presento queste ipotesi per quello che valgono: so bene che in tanta incertezza non si può inferire nulla di sicuro. In ogni modo, mi par probabile che si debba ricercare il trovatore nel padre di quel Manuele che appare il 1256 in M. H. P., X, 365. Il Torraca non esita a fare incominciare la serie delle notizie del poeta ghibellino colla Podesteria di Asti del 1228: altro pensiero ha lo Zenatti, che presenta (p. 19), come prima data, il 1231 (Podesteria di Arles). E qui avrei finito, se non mi premesse di avvertire il lettore che nel sec. XIII, fiorirono in Genova altri due Percivalle Doria. L'uno fu guelfo: compare il 1255 (M. G. H., XVIII, 232) e il 1256 in Lib. Jurium, I, 1247e 1249d. Il 1258 fu inviato al papa insieme a Luca Grimaldi (Caro, Genua und die Mächte am Mittelmeer, Halle, 1899, p. 52n.). Lo troviamo ancora il 1261 e il 1262 (Cés. d. Nostrad., Hist. et Chronique d. Prov., p. 250; Schultz, ZRPh., IX, 406; Desimoni, Giorn., lig., XIII, 346n.; Rajna, Studi di fil. rom., V, 21 n.). Riappare il 1271 (Belgrano, Docum. inediti riguardanti le due crociate di S. Lodovico, nº 19; Schultz, ZRPh., VII, 222), e il 1275 (Canale, Op. cit, IV, 542). Il Desimoni (Op. cit, 346-7) ce lo indica ancora vicario di Carlo d'Anjou ad Arles ed Avignone e per vero un Perceval Doria, «Genois de Naction et Podestat d'Avignon», appare in Ruffi, Histoire d. Comtes de Prov., Aix, 1665, 161-2 nel catalogo dei più nobili signori che seguirono in Italia C. d'Angiò, tra i quali, oltre Sordello, figurano quattro altri trovatori: Bonifacio della Castellana (intorno a cui, tra l'altro, si cfr. Bouche, Chorogr. et Hist. de Prov., I, 916-8), Isnard d'Entrevennes (ZRPh., XXIII, 202-206), Bert. d'Alamannon e Hugues de Penna. Quest'ultima notizia ci induce a credere che questo Percivalle possa essere il poeta provenz. guelfo di cui parla il Nostradamus. Ma qui ci taceremo e rimanderemo il lettore al cap. dedicato a Simon Doria. Un altro Percivalle Doria pare in fine fiorisse in Genova sul cadere del sec. XIII. In Liber Jur., II, col. 168 sgg., leggesi un documento che porta la data 23 dic. 1227, in cui figura un Percivalle figlio di Gavino Doria. Questa data deve essere senza alcun dubbio errata e confesso ch'io ne fui tratto quasi in inganno. Quest' atto deve appartenere all'anno 1287 (e infatti in tale anno fu podestà di Genova Enrico Brusamantica, nominato nel docum.) e il Percivalle che vi si ricorda potrà forse essere quel Percivalle che appare vivo ancora il 1316, in Gioffredo, Storia delle Alpi marittime, p. 316. Intorno a questi «Percivalle» sono anche da vedersi parecchi documenti in A. Ferretto, Relax. diplom., cit. più oltre, pag. 478.()

16. Maggiori notizie sulla podesteria di P. Doria si troveranno in Codex Astensis in una serie di documenti, che vengono qui raccolti e ordinati: N.1 330 (2 giugno '28); 669 (26 settembre); 261 (25 novembre); 912 (26 novembre); 911 (12 dicembre); 986 (14 dicembre). Si aggiungano gli atti pubblicati in M.H.P., III, Chart., 1345.()

17. M. H. P., Scriptores, III, 898; Muletti, Memorie storico-diplom. appartenenti alla città di Saluzzo, II, 259-261.()

18. Anibert, Mém. hist. et crit, sur l'anc. Rép. d'Arles, 1779-81, III, 64 e 249.()

19. Barthelemy, Inventaire chron. et anal. des chartes de la Maison de Baux, p. 68.()

20. Papon, Hist, gén. De Prov.., II, n° LV. In questi suoi soggiorni in Provenza egli si sarà addestrato nella poesia occitanica. In un atto del 29 marzo (Papon, Op. e loe. cit.) appare infatti insieme a un Falquetus de Ratman. Il nome corretto di quest'ultimo leggesi in altro docum. del 24 aprile (id., n° LVI):F. de Rotman. E qui ognuno riconoscerà subito il noto trovatore provenzale, cfr. Zenker, Folquet von Roman, Halle, 1896, p. 29.()

21. A. Rambaud, Hist. de la civilisation française, 1888, I, 243. Questa notizia venne addotta dai Monaci, Crest., I, p. 80. Noto qui di volo che il Fantoni, Storia della città di Avignone, non tien parola di alcuna di queste due podesterie.()

22. M. G. H, XVIII, 191.()

23. M. G. H., XVIII, 196-7.()

24. Torraca, Op. cit., p. 460.M. G. H., Ann. Parm. m., p. 670: «Domnus Princivalus de Oria fuit potestas Parmae». Affò, Storia della Città di Parma, Parma, 1793, III, 186; Winkelmann, Acta Imp. inedita saee. XIII, Innsbruck, 1880, pp. 505, 508.()

25. Io esito qui ad attribuire al nostro poeta la data 1257, fornita dal Canale, Op. cit., II, 415-416. In tale anno il ghibellino era forse lungi da Genova e la data andrà riferita a un altro Perc. Doria.()

26. Ficker, Forsch. z. Reichs- u.Rechtsg. Ital., II, 513; Gregorovius, Storia della Città di Roma, Venezia, 1874, t. V, pp. 385-6. Si cfr. anche Dönniges, Gesch. des deut. Kaisert.; Baldassini, Memorie storiche di Jesi, XLII; Raumer, Geschichte der Hohenstaufen, Leipzig, 1888, t. IV, p. 266.()

27. In Savini, Storia della Città di Camerino, 1864, 52-6, parlasi con bella larghezza di questi fatti. Cfr. Schirrmacher, Op. cit., 156 sgg.; Lanzani, Storia dei Comuni italiani, 1882, 497. Sino al dicembre del 1260 vi hanno documenti che attestano la presenza di Percivalle nella Marca (Ficker, Op. cit., p. 513). Nel 1261 lo sostituiva Enrico de Vigintimiliis.()

28. Saba Malaspina, De reb. sic, in R. I. S., VIII, 810, D.; Muratori, Ann. (all'anno 1264); Sternfeld, Karl von Anjou, Berlino, 1888, p. 205; Caro, Genua und die Mächte, I, 100 e 157. Questi ultimi fatti son narrati con eccessiva brevità perché di essi toccò già il Torraca nell'articolo cit., e non ne avrei forse fatto ricordo, se non avessi avuto in animo di fornire le fonti, per cui Torraca, Studi cit. più sotto, pag. 129 sgg.()

29. Due soli componimenti italiani vanno sotto il suo nome. Si leggono in D'Ancona e Comparetti, Ant. rime v., I, 473, 476, o Monaci, Crest. cit., I, 80-81. Li pubblichiamo più oltre.()

30. Dopo la sua morte, vien ricordato ancora una volta in un atto del settembre 1265, col quale Manfredi conferma agli abitanti di Matelica le immunità e i privilegi concessi già loro dal vicario «quondam Percivallus de Hauria». Ficker, Op. cit., t. IV, nº 445, p. 453; Raumer, Op. cit., V, p. 394.()

31. Cesareo, La poesia siciliana sotto gli Svevi, Catania, 1894, p. 52; C. Frati, Jacopo de Morra e Corrado da Sterleto, in Propugnatore, 1899, 165-83; F. Pellegrini, Le rime di Fra Guittone, Bologna, 1901, I, 204.()

32. Le altre poesie prov. in gloria di Manfredi ch'io conosco, sono: 319,6; 364,41; 40,2. Un anonimo ne canta la morte in 461, 234.()

33. Intorno a Percivalle Doria è ora a vedersi il libro del Torraca, Studi sulla lirica ital., Bologna, 1902, pag. 129 sgg. Il Sign. Ferretto mi invia una notizia assai preziosa da lui trovata nell'archivio genovese: il Marzo 1275 Daniele Doria dichiara che il «quondam» Percivalle suo padre ebbe librum romanciorum, che pose in pegno presso un certo usuraio. Si tratta qui del Percivalle trovatore? È probabile, ma non è accertato. Speriamo che sull'argomento saprà darci maggiori notizie lo stesso Sign. A. Ferretto, che sta studiando ora, con lo scopo di fare di pubblica ragione le sue ricerche, i trovatori di Genova.()

34. Egli vien chiamato per ben due volte da L. Cigala e Simon Doria a giudicare le loro tenzoni: nella 436,1, come già avvertí lo Schultz, e in un componimento, che qui si pubblica per la prima volta:

A'n Jacme Gril, en cui es conoissenza,
amics Symon, trametam la tenzon,
qu'en cobleian en don drecha sentenza.
Segn'en Lafranc, ben ai ferma crezenza
que sera ben iutiada per razon
per lui, quar sap zo qu'a fin pretz agenza.()

 

35. Desimoni, in Giorn. ligust, V, 254. Ecco ciò che racconta il Giustiniani, Annali, ecc., all'anno 1232; «Venivano di Cipro Ottobono di Elia e Giacobo Grillo ed ebbero insieme gran contenzione in nave. E sendo in mezzo pelago, parve che il detto Ottobone disparessi, né poi fu veduto né in mare né in altro luogo, e fu incolpato il prenominato Giacobo che avessi morto Ottobono. E fu discussa la cosa dinanzi al podestà, il quale sentenziò secondo che disponevano le leggi longobarde, le quali fanno menzione di un certo modo di purgazione, nominato purgazione di campione, che si dimanda duello, cioè combattimento che si fa fra due persone in steccato. E furono eletti due combattitori per le due parti: ed uno nominato Caccia fiorentino pigliò la protezione di Ottobono, e un altro nominato Pistello di Como pigliò la protezione di Giacobo Grillo. Ed il terzo giorno di dicembre si fece il duello, cioè il combattimento in la piazza di Sarzano, e fu vincitore Caccia che difendeva Ottobono; ed il podestà quel dí medesimo fece tagliar la testa a Giacobo Grillo».()

36. Si cfr. A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, II (1275-81), Genova, 1903, pag. 427a.()

37. Ms. O. Cfr. Monaci, Testi ant. provenz,, Roma, 1889, col. 92; Cod. Campori, p. 614.()

38. Cod. Campori, p. 581. Il presente studio, quando possa, si dispensa di ripetere le notizie che si leggono in Schultz, Ztf., VII; e su parecchi punti, già toccati da altri, trasvola, a meno che siavi qualche nuova notizia da aggiungere.()

39. Hartwig, Quellen u. Forsch. z. ält. Gesch. der Stadt Florenz, II, 205-206. «Lucas de Grimaldiis filius Dni Ingonis sive Ugonis de Grimaldis de Janua». Il compilatore di questa notizia, che certo è degno di fede, dovè fare uso di una fonte, che forse è a lamentarsi perduta. Ingo de Grimaldo compare insieme a Luchetus de Grimaldo in un atto del 16 dicembre 1231 (Sella, Codex Astensis, III, 1192).()

40. Questo Oberto nacque a sua volta da Grimaldo Grimaldi, stipite di quella famiglia guelfa, che tanta parte ebbe nei destini di Genova e che fu studiata dal Cais di Pierlas, Documents inédits sur les Grimaldi, 1885, p. 20. Il Caro, Genua und die Mächte, ecc., vol. II, indice, non tiene distinti i due Luca Grimaldi e a torto attribuisce promiscuamente i fatti dell'uno all'altro. Mi accorgo ora che la notizia che si ricava dal Hartwig (loc. cit.), venne più tardi addotta dallo Schultz, Ztf., IX, 406-407.()

41. Torraca, Federico II e la poesia provenzale, in N. Antol. (15 gennaio 1895), p. 241.()

42. Zenatti, Op. cit, p. 16.()

43.Giorn. ligust., XI, 347.()

44. Minieri Riccio, Alcuni fatti riguard. Carlo I d'Angiò dal 6 agosto 1257 al 30 dicembre 1270, Napoli, 1874, p. 40.()

45. Girolamo Serra, Storia della antica Liguria e di Genova, 1834, II, 170. I Ghibellini genovesi si ribellarono alla sua podesteria; ne nacque una lotta, che ebbe fine il 28 ottobre 1271. I Guelfi furono confinati per tre anni. Il Canale (Op. cit., II, 261) pone questo fatto all'anno 1266 e attribuisce la podesteria a Luchetto Grimaldi. Cfr. anche Gerolamo Rossi, Storia della Città di Ventimiglia, Torino, 1859, p. 119.()

46. G. Rossi, I Grimaldi in Ventimiglia, inMiscellanea di Storia italiana, s. III, T V, Torino, 1900, pag. 190.()

47. Vedi Giorn. cit., II, p. 406, n. 2. E perché non, potrebbesi chiedere, in Balduino Scotto, che fu pure contemporaneo al Calvo? Comunque sia, si sappia che nella casa Scotto dovettero esistere due Ogerj, il primo dei quali fu console dei Placiti il 1194 e console del mare il 1206 (Atti della Società lig. di stor. patria , I, 394, 415). Il secondo compare la prima volta in un atto del 1246 (Lib. Jurium, II, 33); riappare il 1256 (Giustiniani, Annali cit, p. 416) e fece parte il 1264 di una grande  armata, apparecchiata dai Genovesi contro Venezia, sotto il comando di Simone Grillo «uomo nobile e ghibellino e amato dal popolo» (Serra, Op. cit., II, 150).()

48. Si veda l'indice di A. Ferretto, Relax. dipl, cit., pag. 495.()

49. Codex Astensis, II, 617, docum. nº 559. Chi ben consideri infatti, troverà che alla identificazione di questo Bonifacio Calvo col poeta genovese si oppone direttamente la cronologia, cosicché convien pensare a un omonimo. Si noti che il cognome Calvo fu tutt'altro che raro nella Italia superiore e a ciò si aggiunga che l'atto ebbe luogo in Asti e che esso non riguarda per nulla Genova. E d'altro lato, avverta lo studioso che il Calvo tenzonò con Luchetto Gattilusio, cioè con un poeta, che ancor viveva il 1307 e non potè per conseguenza trovare prima del 1250. Ma appunto in questo tomo di tempo era il Calvo in Ispagna, donde non ritornò prima del 1260. Il Pelaez infine avverte che il suo fiorire deve cadere nei primi decenni della seconda metà del duecento (Op. cit., p. 6) e infatti a questa conclusione conduce la relazione sua con Bertolome Zorzi (1266-1273).()

50. Di S. Doria il Nostradamus forse non conosceva che il nome e quelle tenzoni, che si dovevano leggere nel canzoniere del Conte di Sault. Scrive a p. 132 il Giudici: «Trovasi un altro poeta chiamato Simon Doria, la vita del quale non s'è potuta per anco sapersi». Il Crescimbeni aggiunge senza più che il nostro trovatore fu fratello di un Percivalle. Si cfr. Desimoni, Giorn. lig., V, 255; Schultz, ZRPh., VII, 221.()

51. Per esprimermi chiaramente, dirò che esistettero, a mio avviso, due «Perceval Doria» che scrissero in provenzale. Il primo fu anche poeta italiano e ghibellino; il secondo fu guelfo; ma di quest'ultimo non rimane che la discutibile testimonianza del Nostradamus, a cui notizia credo che  le sue poesie giungessero attraverso il canzoniere del Conte di Sault, nel quale potevano trovarsi insieme a quelle del rimatore ghibellino. Poiché io sono omai convinto che il florilegio di Bern. Amoros e il canzoniere del Conte di Sault non fossero una sola cosa (cfr. Chabaneau, in Rev. d. lang. rom., S. III, t. IX, p. 23). La stretta affinità dei due mss. è per vero generalmente riconosciuta; ma io credo, per una somma d'argomenti, che qui per brevità taccio, che la edizione critica delle Vite del Nostradamus, alla quale attende, com'è noto, lo Chabaneau, dimostrerà che il codice Sault era di molto più ricco del canzon. di Bern. Amoros.()

52. Schultz, ZRPh., VII, 221. Si cfr. ZRPh., IX, 406.()

53. Cfr. Giorn. lig., 1883, p. 343. Diverso pensiero ha lo Schultz, ZRPh., XXV, 121.()

54. Op. cit, p. 416.()

55. Giorn. lig., 1884, p. 347. Sarà superfluo ch'io noti di nuovo che anche qui tralascio, per brevità, di riprodurre quanto può leggersi in ZRPh., VII, 220-221. Non voglio dimenticare che il Desimoni, in Giorn. ligust., XIII, 348, n. 1, trovò il nome di Simon Doria in un trattato per un'ambasciata a Ceuta d'Africa del 6 settembre 1262.()

56. Gerolamo Rossi, Storia della Città e Diocesi di Albenga, Albenga, 1870, pp. 164 e 409.()

57. Lo Schultz, Ibid., p. 220, n. 10, dice: «Zwei andere Tenzonen zwischen ihm und L. Cigala (oltre la 436,1) standen in a»; ma veramente il manoscritto Campori ce ne conserva fortunatamente una di più. Mal si appose perciò lo Schultz contro lo Chabaneau, in ZRPh., X, 596.()

58. Il ripetersi del nome è cosa molto comune nelle nobili famiglie del medioevo (Desimoni, in Giom. lig., V, 347). Gli indici del Pertz (M. G. H., XVIII) par facciano distinzione tra Cigala e Cigalla; ma questa è certo una particolarità grafica di nessun rilievo. Lanfranco Cigalla leggesi anche in M. H. P., Lib. J., I, col. 33. «Sygalla» scrive Cés. de Nostradamus (Hist. et Chron. de Provence, 1624, p. 202).()

59. Atti della Soc. cit, I, 371.()

60. Comunico qui l'albero genealogico dei Cigala, avvertendo che il trovatore è da identificarsi col giudice. La stessa biografia provenzale dice infatti: «vida de jutge menava»:

Lanfranco Cigala

Cicala                     Ansaldo                                  Guglielmo!

Lanfranco                                Lanfranco Ugolin

                                              giudice

                                              Catalina.()

61. Caro, Genua und die Mächte, cit., I, 182, n. 3.()

62. Canale, Op. cit, vol. II, p. 541. Si cfr. per N. Cigala: E. C. de Pierlas, Giacob. di Ventimiglia, ecc., in Propugnatore, 1892, P. II, 35-6; Liber Jurium, 1237d, 1239e (15 ottobre 1256), 1264a, 1249 (17 nov. id.). M. G. H., XVIII, 235; M.H.P., Chart, I, 1493; Rossi, Storia di Albenga, p. 408. Si veda anche Giorn. stor., XXXVIII, 145, n. 1.()

63. Cfr. Canale, Op. cit., II, 311. Intorno al 1230 dovettero essere scritte la 282, 15 e la 282,24 = 461,229, che è indirizzata ad Adelaide di Vidallana (cfr. Schultz, Le epistole del trovat. Ramb. de Vaq., Firenze, 1896, p. 172, n. 2). Questa donna va identificata con Adelaide di Wangone della treva di G. de la Tor. Adelaide di Alberto di Mangone fu sposa a quel Cavalcabò, ch'ebbe in feudo Viadana (De Lollis, Sordello, Halle, 1896, p. 24 n.) e il 1234 si ritirò di nuovo presso la famiglia. Se osserviamo che nella treva essa non vien detta di Vidallana, come di solito vien chiamata dai trovatori, ma soltanto è appellata col nome paterno «de Magon», dovremo conchiudere che la treva fu composta durante la gioventù di Adelaide, cioè parecchi anni prima il 1234, poiché non è possibile pensare che la treva sia stata scritta dopo quell'anno, parlandovisi della bellezza di Caracosa, ecc. Sulla treva si cfr. ora F. Torraca, Le donne italiane nella poesia prov., Firenze, Sansoni, 1901 e Giorn. stor., XXXVIII, 140.()

64. A. Ferretto, Cod. diplom., cit, pag. 203.()

65. Rajna, Un frammento di un cod. perduto di poesie provenzali, in Studi di filol. rom., V, p. 36.()

66. Convennero a Montpellier Giacomo I d'Aragona, Raimondo VII di Tolosa e Raimondo Berengario, per stabilire il modo di dare in isposa al conte di Tolosa la figlia Sancia di Berengario, costringendo al divorzio Sancia d'Aragona. L'accordo dei due principi portò una breve tregua alla guerra, che da tempo ardeva con periodi di intermittenza fra le contee di Tolosa e di Provenza. Nel secondo ventennio del sec. XIII, quando i due contendenti stavano preparandosi ad una lotta, di cui s'intravvedeva prossimo l'inizio, Blacasset rivolgeva al conte di Provenza un suo serventese  pubblicato di recente (cod. Camp., p. 429) e cantava:

e can vei cavals armatz,
Sordel, sui rics e ioios;

 ma poi con quell'arguzia un po' beffarda, che ispirar suole la sua musa, continuava :

pois ren dels Comtes nom chal,
ni lur guerra vernazal
no voil, sol qe ab vos sia.

Ho ascritto al secondo ventennio del sec. XIII questo serventese, poiché la guerra tra le due contee ne risulta già incominciata: «per qu'ieu del Comte volria — qe non anes paux qeren», e poiché esso certo non può alludere alla sollevazione più tarda del 1242. In tal caso il trovatore avrebbe soppresso lo scherzo. La sollevazione del 1242 acquistava infatti carattere nazionale: Raimondo VII vi rappresentava lo spirito meridionale nella sua avversione contro la Francia; la guerra pigliava maggiori dimensioni poiché Giacomo I non pareva alieno dall'intervenirvi non appena avesse accomodato i propri negozi col futuro Alfonso X ; e i fatti dovevano poi terminare coll'avvento di Carlo d'Angiò. Per la sollevazione del 1242 Guilhem de Montanhagol componeva un suo serventese: Bel m'es quan d'armatz, aug refrim (ediz. Coulet, pp. 42 e 85) e d'altro lato Durant Sartre de Carpentras lodava il contegno di Barral del Baux, fido a Raimondo di Tolosa (Cod. Campori, p. 521. M. G., 56).

Qui de bon pretz vol far cap' e mantel,
Tot enaissi com Barrals si capdel.

e nella medesima occasione cantava (id., str. V)

Sai entre nos fan de guerra cembel
li dui Comte qar non es qils capdel.
 

Ascrivendo al 1242 questo componimento, io mi sono attenuto al Coulet, Op. cit., pagg. 85-6, ma non voglio dimenticare di avvertire che la data è tutt'altro che certa. Già il De Lollis Pro Sordello, in Giorn. stor., cit, XXX, 45 ebbe ad osservare che C. Chabaneau ascrisse il serventese, che' ci occupa, al 1229-30 e che il Milà d'altro lato lo aveva creduto posteriore al 1234. Si veda ora Torraca, Sul Pro Sordello, estr. dal. Giorn. Dantesco, Firenze, 1899, p. 74, n. 1. E poiché abbiamo avuto occasione di ricordare la casa del Baux, avvertiamo ancora che Hugueta del Baux, per la quale si cfr. ZRPh., IX, 132 (De Lollis, Op. cit., p. 37, n. 1), vien pure ricordata in un componimento inedito dello stesso Blacasset (cod. Camp., p. 430). Ed ora, ritornando a noi, osserviamo che Lanfranco Cigala giungeva in Provenza un mese dopo l'accordo dei due conti e ben poteva trovare e conoscere nella corte di Berengario il Montanhagol, che tuttavia era seguace di Raimondo VII. Cosí sarà avvenuto d'altra parte che il Conte di Provenza abbia incaricato Montanhagol di tenzonare con Sordello (437,30), poiché credere che l'incontro dei due poeti sia avvenuto a Montpellier (Coulet, p. 24) è asserzione tutta gratuita e ha inoltre contro di sé il fatto che nel documento d'accordo (5 giugno 1241: Tourtoulon, Jacme le Conquérant, II, 423) non figura il nome del Montanhagol, si che può credersi che questi non si trovasse presente. E del resto la tenzone citata mostra chiaramente che il Montanhagol fu in diretta e buona relazione con Raimondo Berengario. In tale occasione il Cigala conobbe pure Sordello, cui inviò il primo serventese pubblicato dal Rajna, in Studi di fil. rom., p. 45.()

67. Lib. Jurium, 1, 1000. Chi sia questo Romeo di Villanova non fa certo d'uopo ch'io ricordi. Rammenterò invece che esiste una tenzone fra Guilhem Augier, poeta che fu del seguito di Carlo d'Angiò, e un altro Guilhem (Bartsch, Crest. 4, 71-74) indirizzata a un Romeo, che secondo gli autori della Hist. littér. de la France, XX, va identificato col famoso consigliere di Raim. Berengario di Provenza. Giova però ricordare che nessuna prova diretta ci soccorre e che si ha memoria di un altro trovatore, ch'ebbe nome Amaut Romieu (Chabaneau, Biogr., p. 126) e fu, come sembra, contemporaneo di G. Augier. A questa tenzone fan seguito tre versi, che costituiscono, a quel che pare, il giudizio dato da Romeo sulla contesa. Io qui li cito secondo l'ed. Bartsch: (cfr. anche J. Müller in ZRPh., XXIII,73).

En Romeus per jutjamen di
que mais vai sens que non fai manentia;
pero a si ditz que l'aver penria.

 

Questo genere di giudizi, onde ebbero poi origine le fantastiche teorie delle Corti d'Amore, veniva considerato come parte importantissima delle tenzoni ed è a lamentarsi ch'esso sia soltanto per scarsissime vestigia rappresentato nella lirica provenzale.()

68. Va notato tuttavia che lo stesso Schultz si lascia divedere un po'incerto e dubitoso, per quanto egli ribadisca la sua ipotesi in Ztf., IX, 406.()

69. Di Alberto di Sisteron parlasi ancora nella nota seguente. Qui si osservi che si hanno componimenti di altri tre poeti provenzali, ch'ebbero il nome di «Albert»; ma nessuno di essi può aver tenzonato con Simon Dona. «Alberto Malaspina», manco dirne, sfugge alla cronologia (1162-1210); «Albert» senz'altro nome, interlocutore in una tenzone con Gaudi, par debba andare identificato col Sisteron (Chabaneau, Biogr., 121); e «Albert Cailla», d'altro canto, visse e fiorì nell'Albigese, senza muoversi mai, al dir della biografia, dalla «sua contrada».()

70. Unica fonte sono le sue rime. Lo Chabaneau, Biogr., 121, colloca senz'altro il periodo del suo fiorire verso il 1220; ma un esame minuto dei suoi componimenti ci illuminerà forse alcun poco. Da essi appare dapprima alla Corte dei marchesi di Monferrato. Quivi infatti egli tenzonò con molta probabilità con Rambaldo di Vaqueiras, cioè prima del 1202, e con certezza con Gaucelm Faidit (1180-1216). Di poi lo troviamo alla Corte dei Malaspina, ove forse fu scritta, prima del 1220 (Schultz, Le epist. cit., p. 168), la 16,1 in lode di Guglielmo Malaspina (1194-1220): M. G., 183. Un altro componimento, che lo Schultz non ricorda, termina (M. G., 188) (16,2) nel modo seguente: La pros Comtessa guaya de Savoya, quar gen manten pretz e joven,

sal dieus e sa lauzor
e Monferrat e'l Marques mo senhor.

Questa Contessa di Savoia o dovrà essere quella Beatrice che andò sposa il 1220 a Raimondo Berengario di Provenza o l'altra Beatrice che fu sposata il 1233 a Manfredi III di Saluzzo (Guichenon, Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoie, Lyon, 1660, I, p. 275). Si cfr. anche Giorn. stor. della lett, ital. XXXVIII, 148, nº 56. Comunque sia, è certo che questo componimento fu scritto prima del 1233, per quanto esso ci sembri la più tarda composizione di quante si posson datare del nostro poeta; poiché dopo il matrimonio, i trovatori si attenevano generalmente al nome della casa, cui apparteneva lo sposo. E infatti Beatrice di Provenza e non di Savoia, è chiamata la prima delle due Beatrici dallo stesso A. de Sisteron nella 16,13. Ci si potrebbe muover contro l'obbiezione che il poeta si fosse, già vecchio, ritirato a vivere in Genova; ma a ciò risponde eloquentemente la stessa biografia provenzale: (Chabaneau, Biogr., p. 94) «Et estet lonc temps en Aurenga, e venc rics, e pois s'en anet a Sistaron estar; e lai el definet».()

71. Selbach, Das Streitgedicht in der altprov. Lyrik., Marburg, 1886, p. 106, str. V.()

72. Nel nostro articolo Studi e ricerche, ecc. noi ci siamo avventurati ad una ipotesi, che non potè non parere ardita. La riproduciamo, senza darvi troppo peso, con le stesse parole: «Dopo aver dimostrato che nessuno degli «Albert», che poetarono in prov., può identificarsi coll'interlocutore di Simon Doria, pensammo ch'esso dovesse ricercarsi nella stessa cerchia dei nostri trovatori e osservando ch'essi comunicano di solito l'un l'altro, credemmo probabile che quello Scotto, che tenzonò col Calvo, potesse aver tenzonato anche con Simon Doria. Avremmo cosí un poeta provenzale di nome Alberto Scotto. E qui a tutti sorgerà vivo nella memoria il ricordo di quell'uomo, che ebbe tanta parte nella storia di Piacenza della fine del sec. XIII e del principio del secolo successivo. Alberto Scotto fu di famiglia di mercanti (Poggiali, Mem. storiche di Piacenza, VI, 31) e potè per vero trovarsi bene spesso a Genova. S'egli esercitò poesia, ciò fece di certo nella sua gioventù, perché le agitazioni della sua vita glie lo avrebbero di poi forse impedito. Signore il 1290 di Piacenza, ove un altro trovatore fiori, Obizzo dei Bigoli, si lega in amicizia con Matteo Visconti. Con esso si rompe e lo depone dal dominio di Milano; bandito di Piacenza, ne riacquista la signoria nel 1307. Imprigionato, dopo vita avventurosa, e relegato in Castel di Cremona, muore il 1318. Contemporaneo di Simon Doria, potrà aver tenzonato nella sua gioventù con Bonifacio Calvo e dovrebbe così essere collocato accanto ad A. Malaspina, a quel Torello di Strada di Pavia (?), che tenzonò con Falconet, ad Alberico da Romano e a Ponzio Amato da Cremona. Ma questa è una congettura; ed io non vi insisto oltre.()

73. Da Jacopo Gattilusio e da una figlia di Ottone Ugodimare nacquero tre figli: I. Luchino (Luchetto) 1247-1282. II. Jacopo (1264-1281). III. Gattino (1264-1281). Luchetto sposò Eleonora di Corrado Doria ed ebbe: Franceschino, Nicola, Domenico, Obertino; ai quali dovremo aggiungere, benché ne taccia lo Hopf, una figlia Ilisina vedova nel 1303 di un Cicala.()

74. ZRPh., VII, 223-225.()

75. Belgrano, in Giornale ligustico, T. IX, 1882, p. 1 sgg.()

76. Dal 1248 al 1307 trovasi il nome di Luchetto sopra documenti diligentemente studiati dal Belgrano. Ove lo Hopf abbia rintracciato la data 1247, egli non dice, né io riesco a trovare. Quanto alla presenza del nostro trovatore, podestà allora di Bologna, al testamento di Re Enzo, rimando a L. Frati, La prigionía del Re Enzo a Bologna, Bologna, 1902, pag. 28. Il Frati comunica due lettere, l'una di Federico ai Bolognesi, l'altra di Rolandino a Federico (pp. 113-116). Un nuovo testo di queste lettere si può leggere nel cod. Campori: E. 5, 11.()

77. Quest'atto si riconnette a quei docum. coi quali, dopo la battaglia della Meloria, Genova, Firenze, Lucca, Siena ecc., stabilirono di gettarsi sulla vinta città ghibellina. Cfr. G. Del Noce, Il conte Ugolino della Gherard., in Collezione di opusc. Dant., diretta da G. L. Passerini, N. 15, Città di Castello, 1894, p. 45.()

78. Cfr. questo Giorn., XXXIV, 119, n. 3; a cui s'aggiunga Schirrmacher, Op. cit., p. 663 e Belgrano, Op. cit., loc. cit()

79. Rassegna settimanale, V, 891. Si veda anche A. Butti, Di L. Gattilusio, in Intermezzo, I, (1890), 26.()

80. Merkel, L'opinione dei contemporanei ecc., in Atti della R. Accademia dei Lincei (Classe stor.-fil.), IV, t. IV, p. 382.()

81. Op. cit., p. 179, n. 8.()

82. Op. cit., 64, n.()

83. In Giorn. stor. cit., XXXVI, pag. 23, n. 1.()

84. Vol. XXXIX, pag. 180.()

85. A. Ferretto, Notizie intomo a Caleca Panzano, in Studi di filol. rom., IX, estr. di pagg. 22.()

86. A. Jeanroy, Un sirventés contre Charles d'Anjou, in Annales du Midi, T. XV (1903), estr. di pagg. 23.()

87. Vol. VIII, pag. 468.()

88. Si cfr. sui componimenti provenzali riguardanti Carlo d'Anjou, C. Merkel, L'opinione dei contemporanei sull'impresa italiana di Carlo I d'Angiò, in Mem. della R. Accad. dei Lincei, S. IV, Classe di Scienze mor. stor. e filol., vol. IV, Roma, 1888, pag. 277 sgg. Questa importantissima monografia presenta parecchie mende — forse troppe — per quanto spetta al campo provenzale. Non è improbabile ch'io abbia altrove occasione di esaminarla sotto questo rispetto e di proporre rettifiche di diverso carattere.()

89. Ferretto, Op. cit., pag. 5.()

90. Arch. di Stato in Genova.()

 

NOTE CRITICHE

Le poesie dei trovatori minori di Genova sono quasi tutte contenute nel cod. a (cod. Campori nella Bibl. estense in Modena, y. N. 8. 4, 11-13). Per la ricostruzione critica di esse io dovevo dunque muovere da un esame minuzioso delle particolarità presentate da cotesto importantissimo manoscritto da me scoperto e segnalato, or sono alcuni anni, nel Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIV, 118 sgg. Lo studio delle peculiarità del nostro codice non è agevole: sia perché esso è copia di un originale perduto, sia infine perché l'amanuense era quasi del tutto ignaro della lingua provenzale antica. Vero è che un erudito cinquecentista, Piero di Simon del Nero, tenendo sott'occhio l'originale dovuto all'alvergnate Bernart Amoros, corresse la nostra copia sino a pag. 589. Ciò non ostante, restano moltissimi passi inintelligibili, i quali si possono sanare coll'aiuto di altri codici provenzali. Ma quando il testo è unico, le difficoltà sono naturalmente maggiori: conviene allora industriarsi col senso o con l'interpretazione degli errori materiali commessi dall'amanuense e risalire da questi alla lezione del manoscritto di Bernart Amoros. Buon per noi che il copista ignorante ha errato spesso, ma non ha modificato in nessun punto 'o riginale !

Gli errori più comuni della copia Campori sono i seguenti 1:

1. L'amanuense, Jacques de Tarascon, risolveva indifferentemente per n, m l'abbreviazione nasale. Per questo in diversi punti dei miei testi non ho esitato a sostituire, quando il senso mi pareva richiederlo, talora la lettera m, talora la lettera n. Cosí ho corretto un tem (I, 68) inten, undomnetz in donetz (III, 14), nom in luogo di non (VIII, 9), ecc., ecc.

2. Il copista scambiava l'u con l'n e viceversa. Si cfr. ceru per cern in II,12; a lanzar per a lauzar (IV, 40), ecc.

3. mi per nu e simiglianti, cosí: miden per nud'en (XI, 18), ecc.

4. Non molto di rado il copista scambiò l's con l'f e viceversa: si per fi (X, 19), ecc.

 

1. Mi riferisco unicamente ai testi pubblicati in questa monografia.

 

***

I testi qui sopra pubblicati constano di alcuni serventesi e di alcune tenzoni. Quest'ultime posson dare argomento alle seguenti poche osservazioni. Colla parola razonamen par si volesse indicare null'altro che l'argomentazione del componimento, senza riguardo alla forma. (Si cfr. Jeanroy, La tenson provençale, in Annales du Midi, 1890, p. 10 dell'estr.). Si cfr.:

III, str. 5. Segn'en Lafranc, aquest raizonamenz
qem razonatz m'es pantais e dolors.
XII, str. 4... es nien zo q'avetz razonatz.

Il termine tenzon indicava il genere e abbracciava le «tenzoni propriamente dette» e il partimen o joc partit. «Vera e propria tenzone» si aveva quando due o più avversari sostenevano liberamente il loro pensiero; «partimento» veniva chiamato quel dibattito, in cui quegli che proponeva la questione lasciava libera la scelta delle opinioni. Si vien così a togliere di mezzo la parola torneyamen, che era applicata a quella discussione per rima cui prendevano parte non meno di tre personaggi. Il Selbach, Dos Streitged. in der altprov. Lyrik, Marburg, 1886, p. 80, § 69, pose in evidenza per primo la falsità di questa denominazione «weil [sie] nur als Überschrift in den Handschriften, nicht aber in den Gedichten selbst vorkommt». Secondo lo Zenker, Die provenz. Tenzone, Leipzig, 1888, p. 100, la parola partimen non potrebbe essere applicata a un intero componimento: essa dovrebbe indicare null'altro che l'alternativa posta nella prima strofe e fors'anche uno dei termini del dibattito.

IV, str. I, ..... Vostra semblanza
volh qem digatz d'aquetz dos partimenz.

La tenzone fa la sua prima comparsa nella poesia provenzale con Cercalmon e Guilhalmi (199; 1) ovvero con Marcabruno e Ugo Catola (451; 1; Klein, Der Mönch von Mont., p. 99; Appel, Prov. Chrest., n° 85), che poetarono nella prima metà del sec. XII (Rajna, Romania, VI, 118); mentre il partimento compare soltanto verso la fine dello stesso secolo e fu con molta probabilità importato di Francia (Jeanroy, Op. cit., p. 23). Nei tempi più belli della lirica provenzale, le tenzoni venivano forse improvvisate; ma certo non tardarono molto ad essere scritte e la prova più evidente di ciò ci vien fornita dal componimento che porta il numero VIII, strofe IV:

….. mas car lous plac escrire,
ieu crei qeus aviatz prestat vostre conzire.

La tenzone uscirà poi dalla poesia di Provenza e in Italia si restringerà, come è ben noto, nella forma del sonetto. Aggiungeremo ora alcune osservazioni sulla metrica dei componimenti da noi pubblicati.

Nel «decasillabo» la cesura cade di consueto, secondo le Leys, dopo la quarta sillaba, ma non mancano esempi di cesura dopo la sesta. Ne registro tre casi:

XII, 14: e sens tot faillimen, con finz e bos.
XII, 24: de leis, qar lo desam, senes drechura.
XII, 38: q'om serv'ab desesper, Luchetz, e vos.

Esempio di cesura lirica, tale da paragonarsi al v. 2, n° I (ediz. De Lollis) di Sordello, vien fornito da:

III, 70: et ad ome ardimenz e valenza.

Il iato non è rispettato dai nostri trovatori come avviene in Provenza e nei migliori poeti provenzali italiani, quali Rambertino Buvalelli e Sordello. Talvolta si hanno qua e là esempi di sinalefe. Bonifacio Calvo, tra gli altri, ne fa abuso.

Esempi di rime sonanti leali: amors, sabors, II, 1-3, ecc., ecc.

Rime consonanti leali: verai, atrai, II, 38-41, ecc. — dirai, atrai, X, 9-11 — plazen, rizen, X, 32-33, ecc., ecc.

Rime leonine: sabiamen, senglamen, IX, 17-23 — tricharia, paria, X, 6-7 — atendre, contendre, VIII, 2-6, ecc.

Rime derivative: plazer, desplazer, II, 16-17, ecc.

 

I metri usati dai nostri autori sono i seguenti:

I.
7 Str., 2 Torn.
7a
3a
7a
7a
7a
7a
7a
7a
7a
II.
6 Str., 2 Torn.
coblas unisonans.
10a
10b
10a
10b
10b
10c’
10d
10d
10c’
III.
8 Str., 2 Torn.
coblas unisonans.
10a
10b
10a
10b
10c’
10c’
10d
10d
 
IV.
8 Str., 2 Torn.
rim doble.
10a’
10b
10a’
10b
10a’
10b
10a’
10b
10a’
V.
8 Str., 2 Torn.
rim doble.
10a’
10b
10a’
10b
10a’
10b
10a’
10b
10a’
VI.
6 Str.
rim doble.
10a’
10b
10a’
10b
10a’
10b
10a’
10b
10a’
 
VII.
3 Str.
rim doble.
8a
8b
8b
8c
8c
8c
VIII.
4 Str.
rim doble.
12a’
12a’
12a’
12a’
12a’
12a’
IX.
6 Str., 2 Torn.
coblas unisonans.
8a 7d’
8b 8c
8b 8e
8a 8e
8c 8c
7d’ 8c
X.
6 Str., 2 Torn.
(rim doble).
10a’
6b
10a
6b
8b
10a’
10a’
XI.
6 Strofi.
(rim doble).
7a’ 7b
7b 7a’
7a’ 7b
7b 7a’
7a’ 7b
7b 7b
7a’ 7a’
XII.
7 Str., 2 Torn.
(coblas unisonans).
10a
10b
10b
10a
10c’
10d
10d
10c’
XIII.
5 Str., 1 Torn.
(coblas unisonans).
10a
10b’
10a
10b’
10b’
10c
10c
10b’
10b
XIV.
5 Str., 1 Torn.
(coblas unisonans).
10a’
10b
10a’
10b
8c’
8c’
10d
10d
XV.
9 Str., 2 Torn.
(coblas unisonans).
10a
10b
10b
10a
10c’
10c’
10d
10d

 

 XVI-XVII.

Poesie italiane

di

Percivalle Doria.

***

 

Registriamo qui alcuni esempi di alliterazione.

Per le regole che governano l'alliterazione, per ciò che spetta all'Italia, e per gli effetti che ne derivano, si veda lo studio di R. Longley Taylor, Alliteration in Italian, New-Haven, 1900 (Si cfr. C. Salvioni, Giorn. stor. della letteratura italiana, XXXIX, 366 sgg.).

Nei nostri testi poniamo in evidenza i seguenti casi:

P.
poiar e pretz perdre abric (I, 3).
Pero pretz fora perdutz (I,46).
de pretz, per q'eu nom desferm (I,57).
Sius tolia per far plazers plazenz (III, 25).
cil q'eu parlesson a prezen (IX, 11).
e parlar ab leis poscatz (XI, 10).
q'el mond plus greu penedenza (XI, 35).
 
M.
mer mais de grat, segon ma conoiscenza (IV, 63).
 
F.
aur e argen co fos fancs (I, 16).
qe pros domna fezes entre faillenza (III,46).
qi de bon cor fai…. faitz plazenz (IV, 17).
 
T.
Trompas, tambors e sonaill (I,28).
S'om es temptatz de grieu temptacion (IV, 56).
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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